Ecco come far conoscere il nostro amato paese in Italia.
Un'altra ferita profonda inferta al già agonizzante Dasà!
C'è ne abbastanza per indignarsi...
non con i giornalisti, che fanno il loro "sporco" lavoro, ma con chi apre la bocca per far entrare aria dove DOVREBBE trovarsi il cervello.
Ma che campa a fare certa gente?(Fonte: lastampa.it del 16 maggio 2008)
RAPHAËL ZANOTTI
INVIATO A DASÀ (VIBO VALENTIA)
Gli abitanti del paese di Dasà, una manciata di case immerse nella fitta vegetazione della provincia di Vibo Valentia, possono contare su poche cose: le pietre del vecchio mulino, il ricordo del cinema chiuso trent’anni fa e la speranza, un giorno, di diventare bidelli. È il sogno di un paese e coronarlo non è impossibile. Basta avere un concittadino assunto all’ufficio scolastico di qualche grande metropoli, per esempio Torino, fornire una lista di nominativi e il gioco è fatto. Negli ultimi anni, da Dasà, sono partite decine di famiglie alla volta dell’hinterland torinese. Il paese si è spopolato. Interi edifici sono vuoti. Le vie sono un carosello di saracinesche abbassate e trovare un artigiano è diventato un problema.
«Saranno partite settanta famiglie - dice un vecchio in paese -. Tutti al nord, a Torino. Ma ora torneranno, vedrà. Uh, se torneranno». E poi bisbigliando: «Hanno fatto un truffa». La storia della truffa, da queste parti, la conoscono tutti. Fino a qualche tempo fa sembrava calata la manna, sul paese di Dasà. I capifamiglia venivano chiamati a ripetizione dall’Ufficio scolastico di Torino. Interi nuclei si trasferivano, bambini al seguito. Vicini e parenti aiutavano a fare armi e bagagli e poi via, emigranti al nord, verso un posto sicuro. Poi, qualcuno si è accorto che c’era qualcosa che non andava. Quei nomi, inseriti irregolarmente nella graduatoria del personale Ata, in teoria bloccata dal 2001, sono cominciati a saltare fuori. La procura ha aperto un’inchiesta, e sono iniziati a fioccare i depennamenti.
Ora, su 1269 abitanti chi non ha un fratello, un cugino, anche solo un vicino di casa che ne è rimasto invischiato? «Bidellopoli, l’hanno chiamata» spiega Pietro Sorace, corporatura minuta e spirito animoso. Pietro gioca a carte in uno dei tre bar semideserti del paese. La campana della chiesa batte le tre e mezza del pomeriggio. «Qui in Calabria è così, si sa - continua Pietro -. Io sono iscritto all’ufficio di collocamento, categoria protetta. Aspetto una chiamata da 15 anni. Nel frattempo mi sono visto passare davanti persone iscritte nella categoria regolare, gente che aveva punteggi inferiori, amici degli amici». Solo qualche tempo fa, in Provincia, era esploso un altro scandalo: decine di persone assunte senza concorso.
A giocare con Pietro c’è Nicola, un 30enne disoccupato: «Mio fratello l’hanno preso, come bidello. Ma lui ormai è assunto, mica lo depennano più. Comunque ha fatto bene, qui non si lavora. Se mi avessero dato la garanzia di un posto fisso, avrei anche pagato: 15-20 mila euro». E intanto il paese si spopola. Giuseppe Iacone è l’ultimo calzolaio rimasto nel circondario. Se qualcuno ha scarpe da riparare, tra Dasà, Arena, Arquaro e Dinami, deve venire da lui. Non c’è lavoro nemmeno per me. Una volta ero bidello e allora...». Ma come, pure lei? «Sì, sì, cinque anni. Con le supplenze. Poi, per rimanere, mi hanno chiesto di dare parte dello stipendio. Ho fatto il segno dell’ombrello e sono tornato al paese». Iacone abita dalle parti di via Verdi. Intorno alla sua abitazione - racconta - ormai c’è almeno una decina di case abbandonate.
Le persiane sono sprangate e a scorrere la lista dei depennati si capisce il perché: decine di nomi provengono da Dasà, Arena, Gerocarne, Soriano, Sorianello, Arquaro. Le famiglie hanno nomi che qui conoscono tutti: i Covalea, i Panetta, gli Zappone, i Bono, i Lavorato, i Minà... Qualcuno faceva il carrozziere, qualcun altro il muratore, il padroncino. C’è persino un grosso proprietario terriero, titolare di un oleificio e di frantoi. Oggi la tenuta è deserta. La falegnameria, all’inizio del paese, è chiusa. «E dire che quelli sì che sapevano lavorare» dice un paesano. Tra i depennati, addirittura un intero nucleo familiare: padre, madre e due figli.
La manna, per Dasà, ha un nome e cognome. È un compaesano che qualche anno addietro è partito dal paese e dopo aver avuto qualche guaio con la giustizia in Francia, è stato assunto al provveditorato di Torino, dove ha lavorato per sette anni, diventando una specie di ufficio di collocamento per i conterranei. In paese si dice che ha preso dei soldi, ma lui ha sempre smentito: «Solo buon cuore, ho aiutato chi era in difficoltà». I maligni sostengono che però, un ritorno elettorale, c’è stato. .
Nessuno si è mai preoccupato che la cosa potesse venire a galla. Il primo dirigente del provveditorato di Torino è di queste parti. Ma non è lo stesso che ha depennato i nomi? «Noi sappiamo che a un certo punto c’è stato un problema: nelle graduatorie famiglie che erano state prese dopo avevano avuto punteggi maggiori. C’è stato un litigio».
Il sogno di diventare bidelli si è infranto. Però molti rimarranno a Torino: chissà che non si riaprano le graduatorie. Scope e grembiuli sono sempre a portata di mano, nello sgabuzzino. E nel paese vuoto, a Dasà, ormai è sempre più difficile tornare.