martedì 29 gennaio 2008

Prima ridete.... e poi pensate!


Se un politico non mantiene le promesse fatte ai propri elettori, non attuando cio' che si era proposto di fare durante il suo mandato, non e' reato additarlo come un 'buffone'.
Non si tratta, infatti, di critiche alla persona ma al suo operato politico-amministrativo. La Cassazione ha annullato cosi' con rinvio una sentenza di condanna per ingiuria, del tribunale di Poggio Mirteto, per un cittadino che durante un'assemblea pubblica, aveva interrotto il discorso del sindaco chiamandolo 'ridicolo e buffone'. Gli ermellini infatti, nella sentenza 4129, hanno sottolineato l'esigenza di porre dei limiti alla 'continenza verbale' che un cittadino deve mantenere per non offendere una persona e compiere reato. Nel caso in esame, il signor Franco, imputato di ingiuria aveva chiamato il suo sindaco buffone, in un'assemblea convocata dallo stesso presso l'universita' locale, al fine di ''chiarire gli equivoci sorti in merito ad una scelta amministrativa''. Nella sentenza della Quinta Sezione penale, si ricorda che: ''l'incontro era stato determinato dal clima di forte contrapposizione politica venutosi a creare tra l'amministrazione comunale e gli abitanti di una frazione a causa della mancata autorizzazione del sindaco alla chiusura della strada provinciale per lo svolgimento di alcune manifestazioni culturali''. Il sindaco aveva indetto l'assemblea per dare una spiegazione delle sue scelte, e diversi cittadini tra cui l'imputato lo avevano offeso con parole non dirette al sindaco in quanto persona, ma alla sua attivita' politica. La Corte ha annullato la sentenza spiegando il rinvio con l'esigenza di specificare il significato della differenza che a volte alcune frasi assumono se rivolte a chi esercita pubblico potere in rappresentanza del popolo. Ricordano infatti gli ermellini che: ''Il limite di continenza puo' ritenersi per se' superato, solo se il contesto si dimostra adottato dall'autore del fatto come pretesto per l'offesa alla persona, e di fatto dimostrando quel contesto, attraverso un'analisi compiuta, tale da consentire di ritenere superato il limite della continenza e giustificare in appello la riforma della sentenza assolutoria, che ha dato conto in dettaglio dell'accaduto''


Fonte: ANSA 28 gennaio 2008

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Se non mantengono le promesse fatte in campagna elettorale, è possibile insultarli; ma se oltre a questo si aggiunge il reato di "associazione per delinquere finalizzata alla raccolta di tangenti sugli appalti e illecito finanziamento al proprio partito", la Cassazione cosa ci permette di fare?
L'"onorevole" Giorgio Campisi, esponente dell'UDC, condannato a 5 anni di reclusione nell'inchiesta "Ricatto" legata al presunto giro di tangenti attorno alla costruzione del nuovo ospedale di Vibo Valentia, cosa aveva promesso in campagna elettorale?
Se la Cassazione si pronunciasse in tal senso, informerei personalmente i familiari di Federica Monteleone, Eva Ruscio e Orazio Maccarone.

Anonimo ha detto...

Reuters - Gio 31 Gen - 21.21
BRUXELLES/NAPOLI (Reuters)
- La Commissione Ue ha annunciato oggi che andrà avanti con la procedura di infrazione contro l'Italia per la gestione della crisi dei rifiuti a Napoli mentre proseguono le proteste degli abitanti in Campania.
La mossa di oggi è l'ultimo passo prima che Bruxelles porti l'Italia davanti alla Corte di giustizia europea, il tribunale Ue più alto.
"Vista la situazione di urgenza e gravità, la Commissione dà all'Italia un mese per rispondere invece che i soliti due mesi", aggiunge la nota.
La Commissione aveva aperto una procedura di infrazione contro l'Italia la scorsa primavera per il mancato rispetto della legislazione Ue sui rifiuti, in base a precedenti mancate raccolte della spazzatura in Campania.
Centinaia di tonnellate di rifiuti, ammassate per le strade del capoluogo partenopeo e provincia da oltre un mese, hanno innescato proteste di massa.
Oggi la polizia ha bloccato un uomo che ha tentato di darsi fuoco davanti alla sede del Commissariato per l'emergenza rifiuti mentre a Marigliano, dove nei giorni scorsi si sono registrati scontri con le forze dell'ordine, sono stati messi in atto blocchi stradali e ferroviari.
Intanto una fonte vicina al Commissariato ha detto a Reuters che la discarica di Montesarchio, in provincia di Benevento, sarà l'unico sito a non entrare in funzione tra i sei individuati nel piano del Commissario straordinario ai rifiuti, Gianni De Gennaro.
Secondo quanto riferito, dopo i rilievi tecnici e i sopralluoghi effettuati nei vari siti previsti nel piano De Gennaro, tra le discariche da riavviare, "solo Montesarchio" non è risultata idonea.

Visto che la Cassazione lo permette, potremmo mandare un bel VAFFA.... alla Iervolino ed a Bassolino!!!

miku ha detto...

Da Repubblica.it

Calabria, tangenti e paura
la Piovra in corsia
dal nostro inviato ATTILIO BOLZONI


REGGIO CALABRIA - Solo un bambino, un bambino morto, ci può raccontare la maledizione che sono gli ospedali della Calabria. Flavio che giocava sulle giostrine dell'oratorio, Flavio che nove ore e settantacinque chilometri dopo già non c'era più. Era appena scivolato in quella grande fogna che è la Sanità ai confini d'Italia. Soldi, soltanto soldi. Tangenti, soltanto tangenti. Paura, soltanto paura. Le chiamano Asl ma sono covi. Dove però ci vogliono stare tutti. È come un'ossessione. Si sbranano e a volte anche si uccidono per una nomina in più o una nomina in meno. Sono tutti all'assalto di quei 3 miliardi e 204 milioni di euro che ogni anno devono saziare la Calabria più famelica.

E lì dentro vogliono comandare tutti. Partiti. Famiglie mafiose. Burocrazie.

L'Udc, il Pd, Forza Italia, Alleanza nazionale, destra, sinistra, quelli che erano di qua e sono andati di là, i capi della 'ndrangheta che hanno fatto diventare primari i loro figli e i loro nipoti, i direttori generali, i commissari straordinari, i contabili, gli infermieri e i portantini, anche i magazzinieri. C'è un livello per ogni spesa e ogni scorribanda. Non li ferma nessuno. Gli scandali, gli arresti in massa. Non li ferma neanche la vergogna. Di chi sono le mani sulla dannata Sanità calabrese? "Di tutti, nessuno escluso", risponde il governatore Agazio Loiero che in questi mesi deve fare i conti con i troppi voti presi e con i troppi creditori che reclamano elargizioni, incarichi, favori, prebende.

Nella sua Calabria dove si annuncia un'altra lunga tempesta il governatore è inquieto e avverte: "La Sanità può uccidere ancora, dopo l'omicidio di Francesco Fortugno ne possono ammazzare un altro".

Cominciamo dalla sventura di Flavio questo resoconto sulle oscenità ospedaliere calabresi, una delle tante, una di quelle che fa sopravvivere tutti gli altri che dalla Sanità succhiano il 65 per cento del bilancio della Regione. Flavio Scutellà, dodici anni, muore il 25 ottobre del 2007 in mezzo a sette ospedali nella Piana di Gioia di Tauro che non lo potevano curare, sette ospedali inutili voluti dai signorotti locali o dai "sottopanza" di qualche ministro di turno. Flavio batte la testa sul selciato e per un piccolo ematoma - che ora dopo ora si allarga sempre di più - non trova in quei sette ospedali un pronto soccorso o un'ambulanza o una sala operatoria. Palmi. Polistena. Rosarno. Taurianova. Oppido Mamertina. Gioia Tauro. Cittanova. Ospedali finti. Flavio se n'è andato dopo quattro giorni di agonia e magari in quel momento, da qualche parte in Calabria, qualcuno stava già fantasticando sui quattro nuovi ospedali che saranno costruiti con decreto emergenziale della Protezione civile. Ce ne sono già 42. E 38 sono le cliniche private.

Nelle sudicie periferie calabresi gli ospedali aprono come gli ipermercati e i capannoni industriali. Appalti. Spartizioni. Passaggi di valigette strapiene di banconote. Minacce. In ogni Asl c'è un colpo in canna. Nel vecchio ospedale di Vibo si muore per un'appendicite, un ascesso tonsillare, una broncopolmonite. Dodici i casi negli ultimi diciotto mesi. Una mezza dozzina le inchieste che si incrociano.

E 803 le "infrazioni" già accertate dai carabinieri dei Nas. Il nuovo ospedale non ci sarà per molti anni ancora per colpa delle mazzette.

"L'azienda di Vibo è l'azienda di Tassone, hai capito?", diceva al telefono a un imprenditore Santo Garofalo, direttore generale dell'Asl 8. A Vibo Valentia avevano già posato la prima pietra del nuovo ospedale, l'aveva portata un costruttore della 'ndrangheta.

E il direttore generale dell'Asl 8 spiegava con stupefacente normalità quali erano le "regole" in quella provincia: "Non ti dimenticare, Vibo è di Tassone e non di Ranieli né di quegli altri né di Stillitani. Le tre aziende: una di Galati, una di Tassone e l'altra è di Trematerra". Telefonate di appena due anni fa. Mario Tassone è un parlamentare dell'Udc. Come Pino Galati. Come Gino Trematerra. Michele Ranieli è un ex eletto alla Camera. Francesco Stillitani all'epoca era assessore regionale. Anche loro dell'Udc.

E' l'Udc che era padrona ed è ancora forse oggi padrona dell'Asl di Vibo Valentia La mappa del potere sanitario della Calabria è alla vista di tutti, praticamente ufficiale, scontata nella sua sfrontatezza.
Non ci sono capi dei capi della sanità come in Sicilia, un Totò Cuffaro a occidente e un Raffaele Lombardo a oriente. E' polverizzato il dominio, barattato, molto trasversale. A Cosenza comandano i Gentile, Nino che è deputato e Pino che è consigliere regionale, tutti e due di Forza Italia, una famiglia dedicata alla Sanità. Ma non sono soli. Ha una certa influenza anche Nicola Adamo, capogruppo regionale del Pd ed ex vicepresidente della giunta Loiero.

A Cosenza c'è pure Ennio Morrone, parlamentare dell'Udeur con interessi anche nella sanità privata. A Catanzaro c'è solo Agazio Loiero. A Reggio Calabria detta legge Alleanza nazionale, però il presidente da quando c'è il centrosinistra è Leo Pangallo. L'hanno messo lì i Democratici di sinistra. A Crotone il più "infilato" in corsia è Enzo Sculco, un consigliere regionale della Margherita che qualche mese fa è stato cacciato per una condanna in primo grado a 7 anni per corruzione. Il governatore Loiero ha così piazzato i suoi fedelissimi a Crotone, Sculco però ha sempre i suoi compari.

A Palmi e a Locri, invece, i partiti contano niente. Conta solo la 'ndrangheta. I Piromalli. I Molè. I Morabito. I Cordì. I Cataldo. I loro rampolli hanno invaso gli ospedali. Medici di rispetto. Uno di loro è riuscito a prendere lo stipendio perfino in carcere.
Pasquale Morabito era lo psicologo di Bovalino dal 1992 al 2002. Quando l'hanno arrestato per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti, glielo continuavano a spedire. "La Asl se n'è accorta e non ha nemmeno avviato azioni di recupero", scrive nella sua relazione Paola Basilone, il prefetto mandata a Locri dal ministero degli Interni dopo l'omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno.

"Il mio è stato un viaggio di andata e ritorno all'inferno", dice Doris Lo Moro, una bella signora che fino al 30 novembre del 2007 è stata l'assessore alla Sanità della Calabria. E' sempre scortata, dal primo giorno della legislatura. L'hanno fatta fuori come assessore. Sono stati i suoi, i ds del Partito democratico.

Non li faceva "entrare" negli ospedali. Alla prima occasione hanno chiesto la sua testa a Loiero. "Se vuoi ti diamo un altro assessorato, ma la Sanità no...", le hanno fatto sapere. "La cattiva politica nella Sanità è peggio della 'ndrangheta, senza la cattiva politica mafiosi e affaristi non potrebbero fare niente", spiega Doris Lo Moro mentre ricostruisce i suoi tormentati quasi mille giorni nella giunta di Catanzaro.

Per provarci ci ha provato. Ma l'assessorato alla Sanità non ha cambiato volto. Era circondata. Il suo direttore generale si chiamava Peppino Biamonte. E' è lo stesso Peppino Biamonte che falsificava carte per far avere altri 500 mila euro alla clinica Villa Anya di Domenico Crea, l'onorevole boss che si sentiva un dio all'Asl 11 di Reggio Calabria. "Agli ordini", gli rispondeva il direttore generale dell'assessorato quando Crea telefonava per chiedere conto della sua pratica su Villa Anya.

Tutti gli alti funzionari regionali sognano la Sanità. "Ci sono troppe incrostazioni, ci sono collusioni che noi nemmeno immaginavamo quando tre anni fa abbiamo cominciato a governare", racconta il presidente Loiero che l'altro giorno ha "azzerato" i dipartimenti della Sanità, un repulisti. L'altro giorno ha finito la sua prima missione in Calabria anche il prefetto Achille Serra, inviato dal ministro Livia Turco a riferire sulla Calabria che fa morire i calabresi nei suoi ospedali. Il 14 di aprile il prefetto Serra consegnerà il suo rapporto.

Ma la Calabria è la Calabria. A volte è anche invisibile. Sono 80 mila i pazienti fantasma - per lo più emigrati e morti da decenni - che erano iscritti regolarmente negli elenchi dell'assistenza sanitaria regionale. A volte è anche imprevedibile. Fra gli indagati in una vicenda di Sanità c'è anche il governatore Loiero, abuso di ufficio e turbata libertà degli incanti per un'ingarbugliata aggiudicazione di forniture elettromedicali. A volte è indegna. In tanti rubano e in tanti fanno rubare. Ma mai c'era stato un monsignore che si era arricchito sulla pelle di poveretti che erano fuori di testa, 363 degenti di una casa di cura che don Alfredo Luberto faceva vivere con la scabbia addosso e nel lerciume dei padiglioni della casa di cura "Papa Giovanni". Raccattava anche lui soldi all'assessorato alla Sanità ma non li portava mai nella clinica che la Curia gli aveva affidato sulle Serre, alle spalle di Cosenza.

Si comprava quadri il monsignore, si arredava l'appartamento con mobili di lusso, aveva acquistato dodici automobili e riempito i suoi conti correnti. Don Alfredo era diventato milionario con la Sanità.


(2 febbraio 2008)
Fonte Repubblica.it

Anonimo ha detto...

Dal Corriere.it


Ritorno tra gli applausi a Napoli: «Ho voluto la meritocrazia, ora ne pago il prezzo»
La famiglia Mastella a Pietrelcina
Sandra Leonardo, tornata libera, visita il paese natale
di Padre Pio assieme al marito e ai figli

NAPOLI - Prima di partire per Napoli per ritornare a lavoro, il presidente del Consiglio regionale della Campania, Sandra Lonardo, accompagnata dal marito Clemente Mastella e dai figli, si è recata a Piana Romana a Pietrelcina, paese natale di San Pio. La presidente Lonardo si è soffermata per alcuni minuti davanti all'Olmo, dove comparvero per la prima volta le stimmate a Padre Pio. Dopo alcuni minuti di raccoglimento e preghiera, Sandra Lonardo è ripartita verso Napoli.

«PAGO PREZZO ALTISSIMO» - «Pago un prezzo altissimo per aver voluto la meritocrazia», ha detto Lonardo tornata poi a Napoli al Consiglio regionale dove è stata accolta dagli applausi applausi e gli incitamenti di amici e dipendenti. «Sono innocente e lo dimostrerò quando la magistratura me lo consentirà. Non ho mai raccomandato quei medici, peraltro non mi pare che la raccomandazione sia un reato e in ogni caso non sarebbe stato consumato, dal momento che quei due posti sono stati assegnati ad altri. In ogni caso chi è senza peccato scagli la prima pietra». Lonardo ha rimarcato che l'Udeur è «stabilmente nella maggioranza di centrosinistra» che governa la Campania. Nonostante queste assicurazioni, la moglie di Mastella non esclude la candidatura alla presidenza della Regione Campania con la Casa delle libertà: «È fantapolitica, ma nella vita mai dire mai».

IL PROVVEDIMENTO - La moglie dell'ex Guardasigilli da domenica pomeriggio non ha l'obbligo di dimora nel comune di residenza di Ceppaloni, in provincia di Benevento, e dunque potrà essere di nuovo a Napoli per presiedere l'assemblea regionale. Il provvedimento è stato notificato alla Lonardo dai carabinieri alle 17,30 nella villa di Ceppaloni. Nell'ordinanza del gip di Napoli Anna Laura Alfano viene dichiarata l'inefficacia della misura dell'obbligo di dimora che era stata emessa nei giorni scorsi dal Tribunale del riesame di Napoli. Il provvedimento, poiché si riferisce a una misura di un giudice che si era dichiarato incompetente (il gip di Santa Maria Capua Vetere Francesco Chiaromonte), perde infatti la sua efficacia al termine dei venti giorni, se non viene rinnovato dal giudice competente. Al gip i magistrati della procura di Napoli - il procuratore Giovandomenico Lepore, il procuratore aggiunto Giuseppe Maddalana e il sostituto Francesco Curcio - non hanno trasmesso alcuna richiesta cautelare per la Lonardo , ribadendo la posizione assunta già nell'udienza davanti al Riesame, quando i pm sottolinearono che erano cessate le esigenze cautelari. Il gip ha inoltre confermato gli arresti domiciliari per gli assessori regionali (dimissionari) dell'Udeur Andrea Abbamonte e Luigi Nocera. Arresti domiciliari per motivi di salute sono stati concessi a Carlo Camilleri, consuocero di Mastella, e l'obbligo di dimora è la misura che il gip ha adottato invece per il capogruppo regionale Udeur Fernando Errico e il consigliere regionale Nicola Ferraro.

INDAGINI - L'inchiesta sui presunti illeciti relativi a concorsi e appalti, avviata dagli inquirenti di Santa Maria Capua Vetere, continua da parte della procura di Napoli che, una volta ultimate le indagini, deciderà le eventuali richieste di rinvio a giudizio o di archiviazione.


04 febbraio 2008

Anonimo ha detto...

Da Repubblica.it

Il pentalogo
del cambiamento
di ILVO DIAMANTI

Questa legislatura è finita malissimo. Ma la marcia che conduce al voto poteva cominciare peggio. Promette, almeno, una competizione elettorale e un sistema partitico diversi dal passato. Per la prima volta dal 1994, infatti, si assiste a un'inversione di tendenza: il passaggio dalla coalizione al partito; o, perlomeno, alla lista comune.

Una novità introdotta dal Partito democratico. Segno di ricomposizione, dopo anni di frantumazione. Certo, questo Pd non riflette il disegno originario, delineato da Prodi e Parisi. I quali immaginavano un partito americano, presidenzialista e, tendenzialmente, largo quanto l'Unione. Che non si è realizzato, per diversi motivi. Non ultimo, il vincolo istituzionale e costituzionale. La legge elettorale che esalta le differenze e i particolarismi. La forma di governo che imita, goffamente, il presidenzialismo o il cancellierato. Ma resta, sostanzialmente, parlamentare.

Tuttavia, la spinta impressa dal Pd ha prodotto effetti più rapidi e profondi del previsto. Dentro la coalizione. Ha emarginato i frammenti opportunisti. Ha indotto i partiti di sinistra ad aggregarsi, per "legittima difesa". Ha, inoltre, contagiato il centrodestra. Spingendo Berlusconi a promuovere, senza indugi, il PdL. Il suo partito personale, allargato ad An e alle schegge politiche localiste e individuali, diffuse nel Paese. Mentre Casini, per ora, tituba. Teme che il suo partito si perda. E di perdere il partito. Ma alla fine, pensiamo, aderirà anche lui. Come sempre.

Al centro, Tabacci e Pezzotta cercano di ritagliare uno spazio, piccolo ma influente, a una formazione ispirata alla tradizione cattolico-democratica. Sfidando l'insuccesso dei tentativi precedenti e le ironie del Cavaliere. Complice la stanchezza suscitata dal mediocre bipolarismo italiano.

È, d'altronde, significativo che Berlusconi abbia scelto, a sua volta, di cambiare. Di seguire l'esempio del Pd, a centrosinistra. Segno che anch'egli considera definitivamente conclusa la transizione. Oppure - se si preferisce - la seconda Repubblica. Quella sorta di "bipersonalismo di coalizione", che ha opposto, per oltre dieci anni, il Cavaliere a Prodi. In base a un'alternativa ideologica in larga parte artificiale: antiberlusconismo vs anticomunismo. Oggi quello schema non funziona. Anzi, per Berlusconi - che ne è l'inventore - rischia di trasformarsi in una trappola. Prodi, infatti, considera finita la sua missione.

L'unione non c'è più. Al suo posto: la Sinistra Arcobaleno. E, anzitutto, il Pd. Partito nuovo, con un leader (relativamente) nuovo, rispetto alla nomenclatura della Seconda Repubblica. Insomma: il paesaggio e gli attori della scena politica nazionale stanno cambiando. Per questo il Cavaliere ha svoltato, avviando, in fretta, il PdL. Il "partito personale" di centrodestra. Di fatto, esisteva già prima. Ora, però, la "novità" viene istituzionalizzata. Enfatizzata: per assecondare il segno di tempi. Come ha segnalato Ezio Mauro, all'indomani dello scioglimento delle Camere.

"Il cambiamento sarà la leva del voto, l'innovazione la sua misura". Berlusconi non ha voluto lasciare al Pd e a Veltroni questo vantaggio competitivo. Temendo di apparire "vecchio". A capo di un'armata Brancaleone, affollata di sigle medie, piccole e minuscole.
Tuttavia, il vento del "nuovo" si respira dovunque. Fra i cittadini prima ancora che nei palazzi. Non basterà a sopirlo un semplice cambio di sigle o, magari, di maggioranza. Ogni opera di mimetismo potrebbe, al contrario, sollevarlo di nuovo, in modo più violento di prima.

Il cambiamento si misurerà, semmai, nella capacità dei partiti di tradurre l'antipolitica in politica. Di rispondere alle domande espresse, ad alta voce, dalle proteste degli ultimi mesi; ma implicite anche nel diffuso clima di sfiducia sociale, rilevato dai sondaggi. Riguardo al rinnovamento, la moralizzazione, la trasparenza: nella definizione dei candidati e dei programmi, nella stessa costruzione dei partiti "nuovi" - o sedicenti tali. Nei mesi che separano dal voto, cinque aspetti, a nostro avviso, risultano importanti, più degli altri, per valutare quanto il cambiamento annunciato rifletta una volontà reale oppure un'operazione cosmetica.

1) L'affermazione di soggetti politici "personalizzati", ma non "personali". Partiti capaci di selezionare e legittimare la classe politica; in particolare il candidato alla guida del governo; non semplici "protesi" al servizio - oppure proprietà - di un leader. Oppure mobilitati, in modo rituale, a confermare leader predestinati. Partiti di elettori, aperti alla società; che consultino i loro elettori. Prima, non dopo il voto: sulle candidature e sul programma.

2) La definizione di programmi "veri" e alternativi. Non un decalogo scritto in base alle indicazioni ricavate da sondaggi e da esperti di marketing. Da presentare al salotto di Vespa. Né ponderosi volumi di proposte; centinaia di pagine, cresciute per "accumulazione", non per "selezione". Per "non" scegliere. Ma poche priorità. Chiare. Condivise. Su questioni caratterizzanti, distintive. Non solo "cose", ma "valori". Perché le cose, senza valori, non hanno valore. Sul lavoro, la scuola, i temi etici, i partiti dicano, chiaramente, cosa pensano. Ieri Berlusconi ha tracciato un profilo molto chiaro e netto. Tradizionalista, più che conservatore. E' un bene: gli altri avranno dei punti di riferimento con cui misurarsi. A partire da Veltroni, nel "discorso per l'Italia", che terrà oggi a Spello.

3) La formulazione di liste veramente "nuove". Caratterizzate dalla presenza di alcune figure autorevoli, per quanto possibile esterne alle oligarchie di partito della seconda Repubblica. Al tempo stesso, occorre candidare figure "nuove" e rappresentative anche a livello periferico. Evitando i "soliti noti", scelti dalle segreterie nazionali. Anche se i tempi sono stretti, sarebbe colpevole non coinvolgere gli elettori nella scelta dei candidati, visto che al momento del voto non avranno margini di libertà. Pretendere di presentare l'esercito dei professionisti della "politica come routine" senza qualità, predicando il nuovo: si rischia il ridicolo.

4) Il grado di trasparenza nella scelta dei candidati. In base a criteri di competenza e moralità. I corrotti e i fiancheggiatori della mafia; i puttanieri, i riciclati e i triciclati; i parenti e gli amici in lista perché parenti e amici; quelli che si fanno candidare come polizza contro le condanne e quelli che trasformano il Parlamento in avanspettacolo: si eviti di proporli, riproporli o, meglio, di "imporli" agli elettori, visto che la legge elettorale attualmente in vigore non lascia loro scampo.

5) Infine, lo stile della campagna elettorale. Che sia civile, a differenza del passato. E tratti gli elettori da cittadini, non da consumatori a cui vendere un prodotto scadente, con tecniche di marketing raffinate. Né come spettatori: pubblico diseducato e mal-educato da anni e anni di pessimo spettacolo politico offerto da questa mediocre politica-spettacolo. Si discuta di programmi, valori. Veri, non finti. E se proprio vogliono ricorrere al marketing, i leader ci spieghino: perché dovremmo fidarci ad acquistare una macchina da loro; e dai loro candidati.

Tratteggiare queste regole di buona educazione politica - lo confessiamo - ci crea un po' di imbarazzo, dopo aver coltivato lo sguardo scettico come metodo (e come vizio). Dopo essere divenuti anche noi, come gran parte degli italiani, "diffidenti per default". Tuttavia, sperare non costa nulla.

Il Pd, che ha cominciato l'opera, continui a dare il buon esempio. Dopo tanti anni passati a "marcare" Berlusconi, si faccia inseguire. Dovrebbe essere un'esperienza eccitante.

(10 febbraio 2008)

Fonte Repubblica.it